di Gabriel Terraglia 4CIT
Oggi come oggi dobbiamo far fronte a problemi sempre più legati ai social network, in particolare ai ragazzi che passano maggior parte del loro tempo sui social e sul telefonino. Secondo “Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali(DSM-5)”, questa dipendenza viene vista ormai come un disturbo e un bisogno incontrollato dei telefonini, non viene catalogata come una malattia psichiatrica, ma è considerato una dipendenza comportamentale. Inoltre i social vengono utilizzati anche come mezzo per diffondere atti di bullismo e il cyberbullismo. Secondo L’Unicef, il bullismo è definito come un comportamento intenzionale e aggressivo che si verifica ripetutamente contro una o più vittime. Il cyberbullismo, che è una sua evoluzione, ha la particolarità che si manifesta attraverso la rete internet, in diverse forme e con conseguenze potenzialmente più gravi del bullismo offline. Nel cyberbullismo il comportamento lesivo ha maggior risonanza e risulta spesso inarrestabile, negando alla vittima qualsiasi rifugio o via di fuga.
I dubbi sulle notizie: vere o false?
Al giorno d’oggi, miliardi di persone passano il loro tempo sui social, per avere informazioni e documentarsi. Quelle che sfugge è il fatto di non sapere se quelle notizie che leggono siano vere o false. I post e gli account falsi sui social media aiutano a rendere virale la disinformazione. Secondo la National Literacy Trust Fake News e Rapporto sull’alfabetizzazione critica, più della metà dei 12-15enni accede ai social per informarsi sulle notizie. Mentre, solo un terzo crede a tutte le informazioni sui social, si pensa che solo il 2% dei bambini in età scolare abbia le capacità per capire la differenza tra notizie vere e false. Queste fake news sempre nel campo dei social network possono creare incitamenti all’odio, a causa delle false notizie che tendono a girare. Secondo Cronache di ordinario razzismo, sito di informazione, approfondimento e comunicazione, tra i post con contenuti razzisti ci sono quelli a sfondo xenofobo (17%, odio contro i migranti); seguono insulti relativi all’orientamento sessuale con una percentuale del 15,6% e l’odio anti-musulmano con una percentuale di 13%.
L’avvento della Dad
A contribuire a rendere internet sempre più invasivo nelle famiglie, vi è l’introduzione della Dad, il metodo della didattica a distanza nelle scuole applicato durante l’emergenza coronavirus. Secondo il “The Journal”, la didattica a distanza ha portato ad avere sui ragazzi effetti psicologici. Come riportato da un’indagine del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi per conto del Miur, su bambini tra i 5 e i 13 anni e ragazzi tra i 14 e 19 anni, emerge un aumento del 24% dei disagi e problemi psicologici come: ansia, rabbia, aggressività e opposizione. Possiamo quindi dire che è stata una rivelazione di fronte la fase più critica del coronavirus, ma fallimentare se utilizzata per lungo periodo, portando i ragazzi a essere dipendenti dei social, con difficoltà nel diminuirne l’uso.